Da "Il sole 24 ore"
Francesco Barattucci

Francesco Barattucci

Lavoro, Sindacale, Relazioni Industriali


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Martedì, 05 Dicembre 2023 14:48

Proroga smart working per i lavoratori fragili

E’ stato prorogato dal 30 settembre al 31 dicembre 2023 il diritto a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato cosiddetti fragili, cioè coloro che sono affetti dalle patologie e condizioni individuate dal decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022.

Il datore di lavoro quindi, fino al 31 dicembre 2023, dovrà assicurare lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento, ferma restando l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove
più favorevoli.

Il decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120 del 11 settembre 2020, (c.d. decreto Semplificazioni), ha introdotto significative modifiche alla legge n. 241 del 7 agosto 1990, in materia di definizione dei procedimenti amministrativi.

È stato, pertanto, adottato un nuovo Regolamento per la definizione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi che ha recepito le modifiche normative, innovando e integrando le disposizioni dell’Istituto e degli Enti incorporati.

La Circolare n. 55 del 8 aprile 2021 illustra le modifiche e le innovazioni più significative contenute nel vigente Regolamento.

Si informa che, con la circolare del 9 ottobre 2023, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito alcuni chiarimenti interpretativi, in tema di contratti a termine, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 48/2023 (c.d. “Decreto Lavoro”) convertito in legge n. 8/2023.

Di seguito le principali indicazioni interpretative riportate nella circolare.

La nuova formulazione dell’art. 19, 1° comma, D. Lgs. 81/2015, prevede che i contratti a termine possano avere una durata superiore ai 12 mesi (nel limite complessivo dei 24 mesi o di quello diverso eventualmente previsto dal contratto collettivo applicato):
“a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.

La Circolare chiarisce che, nel caso in cui sia ancora vigente un contratto collettivo che abbia individuato “specifiche esigenze”, in base alla precedente formulazione dell’art. 19, lett. b-bis), queste potranno continuare ad essere utilizzate fino alla scadenza del contratto collettivo medesimo, senza la necessità di ricorrere all’autonomia individuale di cui alla nuova lett. b) dell’art 19.

La Circolare chiarisce che così come già previsto per le proroghe, anche i rinnovi – in base alla nuova formulazione dell’art. 21 D. Lgs. 81/2015 – potranno essere “a-causali” solo nei primi dodici mesi di rapporto, “mentre viene confermato l’obbligo delle condizioni previste dall’articolo 19, comma 1, per eventuali periodi successivi ai dodici mesi”.

Viene inoltre evidenziato dalla Circolare che, in base al comma 1-ter dell’art. 24, D.L. 48/2023, convertito in L. 85/2023, per l’applicazione della nuova disciplina di cui al 1°comma dell’art. 21 D. Lgs. 81/2015 (che consente proroghe e rinnovi “a-causali” nei primi 12 mesi di rapporto) si tiene conto dei soli “contratti di lavoro stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, con ciò facendo riferimento sia alle proroghe che ai rinnovi. La norma, quindi, consente alle imprese di stipulare nuovi contratti a termine “a-causali”, ovvero prorogare quelli in essere, fino ad un massimo di 12 mesi, anche con lavoratori con i quali avevano già intrattenuto rapporti pregressi. In questo caso, però, la decorrenza dei 12 mesi “acausali” decorre dal primo giorno in cui (dopo l’entrata in vigore del decreto) o si stipula un vero e proprio rinnovo, oppure inizia l’eventuale periodo di proroga del rapporto in essere.

Sotto tale ultimo profilo va evidenziato che:
• rimane fermo il limite massimo dei 24 mesi di cui al 2° comma dell’art. 19. Pertanto, è sempre necessario che, attraverso le proroghe ed i rinnovi “a-causali”, la durata complessiva dei vari contratti a termine succedutesi nel tempo – tenendo conto anche di quelli precedenti al 5 maggio 2023 (data di entrata in vigore del Decreto) – non superi il termine massimo di 24 mesi. Restano salve, chiaramente, le ipotesi in cui i contratti collettivi applicati nell’impresa consentano una durata complessiva superiore ai 24 mesi;
• eventuali proroghe o rinnovi intervenuti tra il 5 maggio ed il 4 luglio 2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione, che ha introdotto le novità in punto di rinnovi ed il comma 1-ter dell’art. 24) dovranno essere computati ai fini del calcolo dei 12 mesi di “a-causalità”.

Allegato: Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 9 ottobre 2023

La Cassazione, con Ordinanza 26588/2023, mette a fuoco la questione della legittimazione dell'INPS ad avanzare pretese contributive nei confronti dei committenti, a fronte di appalti irregolari stipulati in violazione dell'articolo 29, comma 1 del D. lgs. 276/2003.

Il quadro normativo entro il quale si muove la decisione è dato sostanzialmente dall'articolo 29 commi 1 e 3-bis. Nel comma 1 viene descritta la distinzione tra appalto (articolo 1655 del Codice ci-vile) e somministrazione, basata sulla organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa. In base al comma 3-bis, quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può proporre ricorso giudiziale notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, e chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.

Da un punto di vista strettamente normativo, l'INPS dunque non rientra tra i soggetti legittimati a rivendicare la sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore, quando l'appalto sia irregolare. Si pone, come conseguenza, il problema di verificare se, per effetto di questo impedimento, l'INPS sia inibito anche a richiedere la contribuzione omessa nei confronti delle imprese utilizzatrici, in difetto di impugnazione o ricorso da parte dei lavoratori interessati.

Interviene infatti, e con evidenza, il principio, ormai connaturato al sistema, della sostanziale autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro, nel senso che le vicende che riguardano incidentalmente il rapporto di lavoro non possono incidere sull'autonomo rapporto contributivo che vincola il datore di lavoro e fa sorgere diritti indisponibili. Sotto diverso profilo, l'azione dell'ente, volta al recupero di somme destinate a fornire la provvista generale per il pagamento delle prestazioni previdenziali, non potrebbe essere inibita da un atto puramente facoltativo quale la proposizione del ricorso da parte del lavoratore.

Sul punto, la Cassazione ricorda che l'accertamento della natura fittizia del rapporto di lavoro con il datore di lavoro interposto è oggetto di una questione, a carattere pregiudiziale, che il giudice conosce in via incidentale ove sia richiesto il pagamento di contribuzione da parte dell'ente. Per tale motivo, non è necessaria la previa azione del lavoratore volta all'accertamento della natura fittizia del rapporto di lavoro con l'appaltatore per effettuare questo accertamento anche per il profilo contributivo (Cassazione 31144/2019). Il regime previdenziale è infatti indisponibile, e non può essere soggetto ad un'ipotetica iniziativa del lavoratore.

Informiamo che l’Inps ha pubblicato sul proprio sito https://www.inps.it/it/it/inps-comunica/notizie/dettaglio-news-page.news.2023.07.nuove-misure-di-inclusione-sociale-e-lavorativa.html un dossier che illustra tutte le novità, in materia di sostegno per la formazione e il lavoro nonché sull’assegno di inclusione, introdotte dal decreto legge 4 maggio 2023, n. 48. Il Decreto Lavoro prevede una profonda revisione delle politiche di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, oltre che una nuova disciplina per la formazione e per l’accesso al mondo del lavoro.
Il dossier fornisce informazioni sulle seguenti misure:
• Assegno di Inclusione;
• Supporto per la Formazione e il lavoro;
• Reddito di Cittadinanza;
• Maggiorazione dell’Assegno unico e universale;
• Politiche del lavoro per i giovani;
• CIG in deroga per crisi e riorganizzazione;
• Esonero parziale dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti.

Il Iimite di esenzione dei benefit a tremila euro è previsto anche per chi ha un solo figlio a carico e per i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Il limite non si riduce se il figlio è a carico al 50%: due genitori lavoratori potranno usufruire di un limite complessivo di seimila euro. Il beneficio è applicabile a imposte e contributi.

Queste sono le principali indicazione che l’agenzia delle Entrate ha fornito con la circolare 23/E del 1° agosto us.

Il decreto legge n. 48/2023 ha previsto, solo per quest’anno ed esclusivamente a favore dei lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico, un innalzamento a tremila euro del limite di esenzione dei fringe benefit.

Inoltre solo per costoro, tra i benefit da includere nella soglia di esenzione, rientrano anche le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

Ai lavoratori senza figli a carico continuerà, invece, ad applicarsi la soglia di esenzione “tradizionale” di 258,23 euro.

Il limite di tremila euro è valido anche per i benefit che, per scelta del lavoratore, sono stati, in tutto o in parte, concessi in luogo dei premi di risultato detassabili.

Il superamento dei tremila euro comporta il pagamento di tasse e contributi sull’intero ammontare e non soltanto sulla quota parte eccedente.

L’agevolazione è cumulabile con l’esenzione di 200 euro prevista per i buoni benzina.

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