Da "Il sole 24 ore"
Francesco Barattucci

Francesco Barattucci

Area Lavoro, Sindacale, Relazioni Industriali Segreteria Sezioni Automotive, Meccatronica


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Telefono: 085 4325572  342 1070087
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Si informa che il 30 aprile 2024 scade il termine per la compilazione e la trasmissione del rapporto biennale (previsto dall’art. 3 legge 162/2021) sulla situazione lavorativa di genere da parte dei datori di lavoro che occupano più di 50 dipendenti. I lavoratori in somministrazione non sono computati nel totale dei dipendenti, ai fini dell’obbligo di presentazione del rapporto.

Per le aziende di dimensioni inferiori la trasmissione del rapporto è facoltativa.

L’ invio dovrà essere effettuato esclusivamente in via telematica tramite l’applicativo disponibile sul portale https://servizi.lavoro.gov.it.

Nel rapporto che contiene i dati sui lavoratori per genere, categoria professionale, livello di inquadramento e tipologia contrattuale, occorre indicare le variazioni rispetto alla situazione del personale maschile e femminile in ultimo rilevata alla data del 31 dicembre 2021.

Una copia del rapporto, unitamente alla ricevuta di trasmissione telematica, deve essere trasmessa dal datore di lavoro anche alle rappresentanze sindacali aziendali.

Il datore di lavoro è altresì tenuto a indicare ulteriori informazioni quali il numero delle lavoratrici in stato di gravidanza, l’importo della retribuzione complessiva corrisposta al lavoratore o alla lavoratrice, con l’indicazione degli elementi accessori, delle indennità, degli elementi premiali della retribuzione, dei bonus e di ogni altro elemento retributivo o erogazione (anche in natura) eventualmente riconosciuti.

Sulla base dei dati contenuti nel rapporto, le aziende potranno ottenere dagli enti certificatori autorizzati la certificazione di parità che attesta il rispetto di alcuni requisiti minimi prescritti dalla prassi UNI pdr 125-2022. Ricordiamo che alle aziende in possesso della certificazione della parità di genere è concesso un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per l’anno 2022 non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui).

Inoltre, è riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici, infine, le amministrazioni aggiudicatrici indicano, nei loro avvisi, un maggiore punteggio legato al possesso della certificazione di genere.

In caso d’inadempimento dell’obbligo di trasmissione del rapporto nei termini prescritti per un periodo superiore ai 12 mesi potrà essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’impresa.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro procederà alla verifica della veridicità del rapporto e quando esso risulterà mendace o incompleto troverà applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra i 1.000 e i 5.000 euro.

Si informa che il decreto legge recante “ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR” contiene alcune misure in materia di prevenzione e al contrasto del lavoro irregolare.

Appalti e somministrazione illecita di manodopera

L’ art. 29, commi da 2 a 5, prevede l’obbligo per gli appaltatori e i subappaltatori di riconoscere al "personale impiegato nell’ appalto un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale maggiormente applicato nel settore e nella zona il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto".

La norma in esame rafforza ulteriormente la disciplina della responsabilità solidale negli appalti prevista dalla legge Biagi (art. 29 del D.lgvo n. 276/2003) secondo cui, come è noto, le imprese committenti sono solidalmente responsabili con quelle appaltatrici per i trattamenti retributivi e contributivi da questi dovuti per i propri dipendenti. In particolare, la disposizione estende la responsabilità solidale del committente anche nel caso in cui l’utilizzatore ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti non autorizzati, nonchè ai casi di appalto e distacco privi dei requisiti previsti.

Nell’ ipotesi di somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti non autorizzati si applicherà una nuova sanzione penale che prevede per l’utilizzatore e il somministratore l’arresto fino ad un mese o l’ammenda di 60 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Le stesse sanzioni si applicano nei casi di appalto o distacco privi dei requisiti. Ove sia accertata la fraudolenza del comportamento illecito la sanzione sarà inasprita con l’arresto fino a tre mesi o con una ammenda di 100 euro per ciascun lavoratore per ciascun giorno di somministrazione. Infine la nuova norma ha previsto altresì un inasprimento della “maxisanzione” per lavoro nero che prevede un aumento del 30% (in precedenza del 20%) degli importi previsti dal regime sanzionatorio di cui al DL n. 12/2002.

Premialità per i datori di lavoro virtuosi

L’art. 29, commi da 7 a 9 prevede una premialità a favore dei datori di lavoro che dimostrino comportamenti virtuosi nella gestione dei rapporti di lavoro. In particolare, qualora dagli accertamenti ispettivi in materia di lavoro e di legislazione sociale (ivi compresa la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) non emergano violazioni o irregolarità, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro rilascia un attestato e iscrive il datore e di lavoro in un apposito elenco informatico, Lista di conformità INL, consultabile pubblicamente.

In tale ipotesi, le aziende non saranno sottoposte, per un periodo di 12 mesi, ad ulteriori verifiche ispettive nelle materie oggetto degli accertamenti (fatta salve le verifiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, le eventuali richieste di intervento, nonché le attività di indagine disposte dalla Procura della Repubblica).

Il reato di estorsione nei confronti del lavoratore commesso dal datore di lavoro si realizza con condotte diverse, ma presuppone l’instaurazione anche solo di fatto del rapporto di lavoro. È il principio affermato dalla Corte di Cassazione sezione Penale con la sentenza n. 7128 del 16 febbraio 2024, a conclusione di un’interessante disamina sul delitto di estorsione in ambito lavoristico.

La Cassazione, nella sentenza in commento, chiarisce subito che il principio, a lungo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l’aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi» (sez. 2, 8477/2019, sez. 2, 16656/2010), richiede un approfondimento sulla conciliabilità con i principi di tipicità e tassatività del delitto di estorsione.

Ad avviso della Corte di legittimità la casistica giudiziaria concernente il tema del delitto di estorsione, realizzato attraverso lo strumento contrattuale del rapporto di lavoro subordinato, presenta una molteplicità di forme di manifestazione, e una serie numerosissima di condotte potenzialmente riconducibili alla nozione di minaccia, rilevante per la configurazione del delitto di estorsione, che può assumere carattere attivo o omissivo. Però, nonostante la diversità delle singole fattispecie, è costante nella giurisprudenza di legittimità il richiamo al principio secondo il quale «integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con minacce larvate di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate»; ma tale principio risulta applicato a situazioni tra loro del tutto differenti, ovvero relative da un lato a situazioni riguardanti la fase di costituzione, di fatto o formale, di rapporti di lavoro, dall’altro a vicende che riguardano invece la fase di esecuzione di rapporti già instaurati. Di qui, la necessità di verificare se l’applicazione indifferenziata del principio ora ricordato a fattispecie diverse tra loro sia coerente con la tipicità del delitto di estorsione.

La prospettazione da parte del datore di lavoro agli aspiranti dipendenti, al momento dell’assunzione e quindi prima che si sia instaurato un rapporto di lavoro, dell’alternativa tra la rinunzia, anche parziale, alla retribuzione formalmente concordata o ad altre prestazioni e la perdita dell’opportunità di lavoro, difetta in primo luogo del requisito della minaccia, non sussistendo prima della conclusione dell’accordo un diritto dell’aspirante lavoratore ad esser assunto a determinate condizioni. Manca, inoltre, il requisito dell’altrui danno, in ragione della preesistente condizione di disoccupazione per i lavoratori, rispetto alla quale il mancato conseguimento di un’opportunità di impiego, rappresentante un dato di certo patrimonialmente positivo, non incide però negativamente sulla condizione reddituale della parte.

A diverse conclusioni deve, invece, giungersi, secondo la Suprema Corte, nelle ipotesi in cui il datore di lavoro, per costringere i dipendenti ad accettare modifiche del rapporto di lavoro in senso peggiorativo per le condizioni dei lavoratori, prospetti alla vittima la conseguenza, in caso di mancata adesione alle proposte di modifica delle condizioni originariamente pattuite, dell’interruzione del rapporto (mediante licenziamento o presentazione “forzata” di dimissioni); in questo caso, si individuano sia il dato della minaccia, «realizzata facendo ricorso ad uno strumento in sé rispondente ad una facoltà della parte contrattuale che viene però strumentalizzato come mezzo di coercizione dell’altrui volontà per finalità», sia il profitto del datore di lavoro, sia il danno per la vittima, che viene privata di diritti già acquisiti per effetto della conclusione del contratto di lavoro.

Il principio affermato dalla sentenza in commento è che il confine «tra ipotesi di opportunistica ricerca di forza lavoro tra categorie di soggetti in attesa di occupazione e condotte riconducibili al paradigma del delitto di estorsione è quindi rappresentato dall’esistenza di un rapporto di lavoro già in atto, pur se solo di fatto o non conforme ai tipi legali, rispetto al quale integra il fatto tipico del delitto di cui all’articolo 629 codice penale la pretesa di ottenere vantaggi patrimoniali da parte del datore di lavoro, attraverso la modifica in senso peggiorativo delle previsioni dell’accordo concluso tra le parti, destinate a regolare gli aspetti aventi rilevanza patrimoniale, prospettando l’interruzione del rapporto (attraverso il licenziamento del dipendente o l’imposizione delle dimissioni)».

Informiamo che è stato pubblicato sulla G.U. n. 26 del 1° febbraio 2024 il DPCM del 19 gennaio 2024 con il quale sono stati posticipati i termini per la presentazione delle richieste di nulla osta al lavoro nell’ambito dei flussi di ingresso legale in Italia per l’anno 2024.

Le nuove date dei click day sono pertanto le seguenti:
- ore 9.00 del 18 marzo 2024 (in luogo del 5 febbraio);
- ore 9.00 del 21 marzo 2024 (in luogo del 7 febbraio);
- ore 9.00 25 marzo 2024 (in luogo del 12 febbraio).

L’articolo 1, comma 174, della legge n. 213/2023, incrementa di 50 milioni di euro le risorse già stanziate per la proroga, negli anni 2022, 2023 e 2024, del trattamento straordinario di integrazione salariale di cui all’articolo 22-bis del D.lgs n. 148/2015.

A seguito dell’incremento della disponibilità finanziaria utile alla concessione della misura, il tetto di spesa per il trattamento de quo, già fissato per il 2024 in 50 milioni di euro dall’articolo 1, comma 129, della legge di Bilancio 2022, si attesta, quindi, nel 2024, a 100 milioni di euro.

Si rammenta che il citato articolo 22-bis del D.lgs n. 148/2015 prevede la possibilità, per le imprese con rilevanza economica strategica anche a livello regionale e con rilevanti problematiche occupazionali, di richiedere un ulteriore periodo di trattamento straordinario di integrazione salariale, in deroga ai limiti massimi di durata stabiliti dagli articoli 4 e 22 del D.lgs n. 148/2015.

L’ulteriore periodo di CIGS può avere le seguenti durate:
- Riorganizzazione aziendale 12 mesi;
- Crisi aziendale 6 mesi;
- Contratto di solidarietà (CdS) 12 mesi

L’articolo 1, comma 174, della legge di Bilancio 2024, non è intervenuto sulla disciplina di riferimento. Ne deriva che, per accedere alla proroga del trattamento di CIGS, permangono i presupposti e le condizioni stabilite dall’articolo 22–bis del D.lgs n. 148/2015.

Per i lavoratori dipendenti vengono prorogate per il solo 2024, con alcune differenze, le misure agevolative per i benefit (beni e servizi) erogabili dalle imprese ai loro dipendenti senza applicazione di alcun prelievo ai fini fiscali e contributivi (cd welfare aziendale).

Nel dettaglio, si dispone per il 2024 un incremento del valore di non imponibilità dei benefit di cui all’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, di seguito TUIR), ordinariamente fissato a 258 euro così articolato:
• fino a 2.000 euro, per il personale con figli fiscalmente a carico, inclusi quelli di età inferiore a 21 anni per i quali il dipendente riceve dall’INPS l’Assegno Unico e Universale per la Famiglia (nel 2023 tale limite era fissato a 3.000 euro);
• fino a 1.000 euro per il personale senza figli o con figli conviventi, ma non fiscalmente a carico (nel 2023 tale limite era quello ordinario di 258 euro).

Novità rilevanti si riscontrano anche nella platea delle spese rimborsabili dal datore di lavoro senza applicazione di prelievo fiscale; infatti, oltre al rimborso monetario delle bollette per utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, è ammesso anche il rimborso delle spese per l’affitto della prima casa e per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.

Come previsto per il 2023, si richiede che i datori di lavoro provvedano all’attuazione dell’agevolazione, previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti.

Viene confermata, anche per il periodo di imposta 2024, l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato previsti dalla contrattazione aziendale o territoriale con aliquota ridotta al 5 per cento (in luogo del 10 per cento ordinariamente previsto).

Restano immutate le condizioni di accesso alla predetta agevolazione che spetta:
• ai lavoratori dipendenti del settore privato (a tempo indeterminato o determinato), con redditi di lavoro dipendente non superiore nell’anno precedente a 80.000 euro (al lordo delle somme detassate, escluse le somme convertite in prestazioni di welfare non imponibili) entro un limite di importo annuo di 3.000 euro;
• al verificarsi di un risultato incrementale in almeno uno degli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, individuati e concordati nel contratto collettivo, riscontrabile in modo obiettivo attraverso appositi indicatori numerici, rispetto ad un periodo congruo stabilito dalle parti.

Martedì, 05 Dicembre 2023 14:48

Proroga smart working per i lavoratori fragili

E’ stato prorogato dal 30 settembre al 31 dicembre 2023 il diritto a svolgere l’attività lavorativa in modalità agile per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato cosiddetti fragili, cioè coloro che sono affetti dalle patologie e condizioni individuate dal decreto del Ministero della Salute del 4 febbraio 2022.

Il datore di lavoro quindi, fino al 31 dicembre 2023, dovrà assicurare lo svolgimento della prestazione lavorativa in smart working anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento, ferma restando l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove
più favorevoli.

Il decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 120 del 11 settembre 2020, (c.d. decreto Semplificazioni), ha introdotto significative modifiche alla legge n. 241 del 7 agosto 1990, in materia di definizione dei procedimenti amministrativi.

È stato, pertanto, adottato un nuovo Regolamento per la definizione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi che ha recepito le modifiche normative, innovando e integrando le disposizioni dell’Istituto e degli Enti incorporati.

La Circolare n. 55 del 8 aprile 2021 illustra le modifiche e le innovazioni più significative contenute nel vigente Regolamento.

Si informa che, con la circolare del 9 ottobre 2023, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito alcuni chiarimenti interpretativi, in tema di contratti a termine, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 48/2023 (c.d. “Decreto Lavoro”) convertito in legge n. 8/2023.

Di seguito le principali indicazioni interpretative riportate nella circolare.

La nuova formulazione dell’art. 19, 1° comma, D. Lgs. 81/2015, prevede che i contratti a termine possano avere una durata superiore ai 12 mesi (nel limite complessivo dei 24 mesi o di quello diverso eventualmente previsto dal contratto collettivo applicato):
“a) nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all'articolo 51;
b) in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti;
b-bis) in sostituzione di altri lavoratori”.

La Circolare chiarisce che, nel caso in cui sia ancora vigente un contratto collettivo che abbia individuato “specifiche esigenze”, in base alla precedente formulazione dell’art. 19, lett. b-bis), queste potranno continuare ad essere utilizzate fino alla scadenza del contratto collettivo medesimo, senza la necessità di ricorrere all’autonomia individuale di cui alla nuova lett. b) dell’art 19.

La Circolare chiarisce che così come già previsto per le proroghe, anche i rinnovi – in base alla nuova formulazione dell’art. 21 D. Lgs. 81/2015 – potranno essere “a-causali” solo nei primi dodici mesi di rapporto, “mentre viene confermato l’obbligo delle condizioni previste dall’articolo 19, comma 1, per eventuali periodi successivi ai dodici mesi”.

Viene inoltre evidenziato dalla Circolare che, in base al comma 1-ter dell’art. 24, D.L. 48/2023, convertito in L. 85/2023, per l’applicazione della nuova disciplina di cui al 1°comma dell’art. 21 D. Lgs. 81/2015 (che consente proroghe e rinnovi “a-causali” nei primi 12 mesi di rapporto) si tiene conto dei soli “contratti di lavoro stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”, con ciò facendo riferimento sia alle proroghe che ai rinnovi. La norma, quindi, consente alle imprese di stipulare nuovi contratti a termine “a-causali”, ovvero prorogare quelli in essere, fino ad un massimo di 12 mesi, anche con lavoratori con i quali avevano già intrattenuto rapporti pregressi. In questo caso, però, la decorrenza dei 12 mesi “acausali” decorre dal primo giorno in cui (dopo l’entrata in vigore del decreto) o si stipula un vero e proprio rinnovo, oppure inizia l’eventuale periodo di proroga del rapporto in essere.

Sotto tale ultimo profilo va evidenziato che:
• rimane fermo il limite massimo dei 24 mesi di cui al 2° comma dell’art. 19. Pertanto, è sempre necessario che, attraverso le proroghe ed i rinnovi “a-causali”, la durata complessiva dei vari contratti a termine succedutesi nel tempo – tenendo conto anche di quelli precedenti al 5 maggio 2023 (data di entrata in vigore del Decreto) – non superi il termine massimo di 24 mesi. Restano salve, chiaramente, le ipotesi in cui i contratti collettivi applicati nell’impresa consentano una durata complessiva superiore ai 24 mesi;
• eventuali proroghe o rinnovi intervenuti tra il 5 maggio ed il 4 luglio 2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione, che ha introdotto le novità in punto di rinnovi ed il comma 1-ter dell’art. 24) dovranno essere computati ai fini del calcolo dei 12 mesi di “a-causalità”.

Allegato: Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 9 ottobre 2023

La Cassazione, con Ordinanza 26588/2023, mette a fuoco la questione della legittimazione dell'INPS ad avanzare pretese contributive nei confronti dei committenti, a fronte di appalti irregolari stipulati in violazione dell'articolo 29, comma 1 del D. lgs. 276/2003.

Il quadro normativo entro il quale si muove la decisione è dato sostanzialmente dall'articolo 29 commi 1 e 3-bis. Nel comma 1 viene descritta la distinzione tra appalto (articolo 1655 del Codice ci-vile) e somministrazione, basata sulla organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa. In base al comma 3-bis, quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può proporre ricorso giudiziale notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, e chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.

Da un punto di vista strettamente normativo, l'INPS dunque non rientra tra i soggetti legittimati a rivendicare la sussistenza di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore, quando l'appalto sia irregolare. Si pone, come conseguenza, il problema di verificare se, per effetto di questo impedimento, l'INPS sia inibito anche a richiedere la contribuzione omessa nei confronti delle imprese utilizzatrici, in difetto di impugnazione o ricorso da parte dei lavoratori interessati.

Interviene infatti, e con evidenza, il principio, ormai connaturato al sistema, della sostanziale autonomia del rapporto contributivo rispetto al rapporto di lavoro, nel senso che le vicende che riguardano incidentalmente il rapporto di lavoro non possono incidere sull'autonomo rapporto contributivo che vincola il datore di lavoro e fa sorgere diritti indisponibili. Sotto diverso profilo, l'azione dell'ente, volta al recupero di somme destinate a fornire la provvista generale per il pagamento delle prestazioni previdenziali, non potrebbe essere inibita da un atto puramente facoltativo quale la proposizione del ricorso da parte del lavoratore.

Sul punto, la Cassazione ricorda che l'accertamento della natura fittizia del rapporto di lavoro con il datore di lavoro interposto è oggetto di una questione, a carattere pregiudiziale, che il giudice conosce in via incidentale ove sia richiesto il pagamento di contribuzione da parte dell'ente. Per tale motivo, non è necessaria la previa azione del lavoratore volta all'accertamento della natura fittizia del rapporto di lavoro con l'appaltatore per effettuare questo accertamento anche per il profilo contributivo (Cassazione 31144/2019). Il regime previdenziale è infatti indisponibile, e non può essere soggetto ad un'ipotetica iniziativa del lavoratore.

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