Da "Il sole 24 ore"

Scende l’inflazione in Italia, ma i tassi sono alti e forse non ancora fermi, perciò il credito è troppo caro e meno disponibile. La crescita dell’economia italiana è ferma: i servizi sono in flessione e l’industria ancora debole. Gli investimenti vanno giù, i consumi sono quasi fermi, meglio l’export ma le prospettive non sono buone. L’Eurozona è vicina allo zero, la Cina stanzia 137 miliardi di stimoli, mentre negli USA sorprende in positivo la crescita nel 2023.
Alleghiamo il link all'ultima Congiuntura Flash: https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/dettaglio/congiuntura-flash-novembre-2023

Fonte: Centro Studi Confindustria.

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La pandemia prima e l’invasione russa dell’Ucraina poi hanno messo in grande evidenza il tema della vulnerabilità delle filiere di fornitura e dell’autonomia strategica dei paesi. In un sistema produttivo globale, che resta profondamente interconnesso, si nascondono passaggi specifici, che sono in alcuni casi molto concentrati per area geografica. Ciò impone un cambio di passo nelle politiche e nelle strategie di lungo periodo dei governi e delle imprese. Questi i temi al centro del volume del CSC- CATENE DI FORNITURA TRA NUOVA GLOBALIZZAZIONE E AUTONOMIA STRATEGICA, realizzato con il sostegno di Unicredit e consultabile sul sito di Confindustria.

Al seguente link il volume completo:  https://www.confindustria.it/home/centro-studi/prodotti/ricerche/rapporto/Scenari%20geoeconomici/rapporto-catene-di-fornitura-2023

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Segnaliamo che sabato 28 ottobre u.s. in diretta streaming sul sito di Confindustria è stato presentato il rapporto del Centro Sudi “L’economia italiana torna alla bassa crescita?”.

L’economia italiana ha frenato nella prima metà del 2023, una dinamica condivisa con l’intera Europa. La Germania, anzi, è scivolata in recessione. La seconda metà dell’anno sembra essere altrettanto difficile.

Nonostante la crescita negli USA, che sorprende, alle nostre produzioni manca il traino dei mercati esteri. Il prezzo del gas non è mai sceso ai valori pre-crisi energetica e quello del petrolio si è improvvisamente impennato: costi che pesano sui bilanci di imprese e famiglie.

L’inflazione resta elevata ma si intravede la fine del sentiero di rialzi dei tassi di interesse da parte della BCE e, sull’altra sponda dell’Atlantico, della FED. Intanto il credito per consumi e investimenti è diventato troppo caro e sta frenando la domanda interna.

Il 2024 sancirà il ritorno alla bassa crescita che ha caratterizzato il decennio pre-pandemico? Lo strumento per uscire dal pantano c’è, il PNRR, ma bisogna utilizzarlo subito, in pieno, al meglio.

Ha presentato il Rapporto il Direttore del Centro Studi Confindustria Alessandro Fontana.

Hanno partecipato alla discussione Pier Carlo Padoan (Presidente UniCredit S.p.A.) e Gelsomina Vigliotti (Vice Presidente Banca Europea degli Investimenti).

Ha concluso l'evento il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.

Moderatore Dario Di Vico (Giornalista Corriere della Sera).

Clicca QUI per consultare il rapporto completo

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Vi invitiamo alla presentazione del Rapporto di previsione del Centro Studi Confindustria “L’economia italiana torna alla bassa crescita?”, che si terrà sabato 28 ottobre alle ore 10.30, sia in presenza in Confindustria (Viale dell’Astronomia 30), sia in diretta streaming su www.confindustria.it.

Per seguire l’evento è necessario iscriversi cliccando qui.
Presenta il Rapporto il Direttore del Centro Studi Confindustria Alessandro Fontana.

Ne discutono: Pier Carlo Padoan (Presidente UniCredit S.p.A.) e Gelsomina Vigliotti (Vice Presidente Banca Europea per gli Investimenti).
Conclude il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi.
Modera Dario Di Vico (Giornalista Corriere della Sera).

In allegato programma della presentazione.

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Prezzi e tassi alti bloccano l’economia italiana. L’inflazione è in lento calo, i tassi ancora in rialzo ma forse a fine corsa, c’è meno credito e meno liquidità. Molti più interessi da pagare per le famiglie italiane. Nei servizi si è esaurita la ripresa e l’industria è in sofferenza. Giù la domanda interna in Italia e anche l’export è in riduzione, ma con un miglioramento in agosto. L’Eurozona è quasi ferma, mentre gli USA sono in crescita e vanno bene gli emergenti.
Alleghiamo il link all' ultima Congiuntura Flash : https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/dettaglio/congiuntura-flash-settembre-2023

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L’aumento delle tensioni geopolitiche, la diffusione della pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno messo in evidenza le fragilità delle profonde interdipendenze produttive e di fornitura a livello globale e stanno spingendo le imprese verso una riconfigurazione delle catene di fornitura.
Una survey condotta, nel 2021, dal Centro Studi Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy) sulle strategie di offshoring e reshoring delle imprese manifatturiere italiane evidenzia un uso limitato del backshoring di produzione (totale o parziale), cioè di rientro in Italia di fasi produttive precedentemente localizzate all’estero, mentre è rilevante il backshoring di fornitura, come confermato anche dall’indagine condotta dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere ad aprile 2023.
Entrambe le indagini individuano nella maggiore resilienza, nella riduzione della distanza e nel miglioramento della qualità dei prodotti le principali ragioni di questa scelta su cui nei prossimi anni inciderà molto anche la necessità di aumentare la sostenibilità delle produzioni.

Per consultare la Nota completa: https://bit.ly/StrategieInt

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L’iperglobalizzazione dei primi anni Duemila ha lasciato il posto a una fase di globalizzazione lenta. Tuttavia, le catene globali del valore si sono dimostrate molto robuste. Le tensioni sino-americane, il conflitto russo-ucraino, la divisione in blocchi dei paesi politicamente affini e un’accelerazione degli interventi protezionistici complicano lo scenario mondiale.
Da questa osservazione si sviluppa l’analisi contenuta nel volume Catene di fornitura tra nuova globalizzazione e autonomia strategica del Centro Studi, consultabile sul sito di Confindustria.
https://www.confindustria.it/home/centro-studi/prodotti/ricerche/rapporto/scenari+geoeconomici/rapporto-catene-di-fornitura-2023
Emerge la necessità di rafforzare le catene di fornitura, specie in produzioni strategiche, come quelle che guidano la transizione green e digitale. Il Centro Studi Confindustria ha identificato 62 prodotti fortemente critici per l’industria italiana, che attivano circa 5 miliardi di import, soprattutto nelle filiere dell’ICT e dei trasporti; la Cina ne è di gran lunga il principale fornitore. Nella definizione delle politiche europee è necessario rafforzare le filiere strategiche, anche grazie ad accordi di collaborazione industriale con paesi terzi.
L’analisi delle vulnerabilità delle forniture dall’estero è contenuta anche nella Nota dal CSC Le dipendenze critiche e strategiche dell’industria italiana, disponibile qui:
https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/scenari-geoeconomici/dettaglio/dipendenze-critiche-e-strategiche-industria-italiana
Diverse sono le strategie di reshoring delle imprese manifatturiere italiane. Secondo una survey del Centro Studi Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy), l’uso del backshoring di produzione è ancora limitato, mentre è più significativo quello del backshoring di fornitura (21% delle imprese che si riforniscono all’estero), con l’obiettivo di maggiore resilienza, riduzione della distanza e miglioramento della qualità dei prodotti. L’accorciamento delle filiere globali potrebbe accompagnare l’adozione di paradigmi alternativi a quello lineare della produzione, come l’economia circolare.
L’evento di presentazione avrà luogo il 22 settembre 2023 alle ore 10.30 in diretta streaming su www.confindustria.it.

Fonte:Centro Studi Confindustria

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Csc Ricerche: forniture critiche italiane concentrate nei settori commodity-energia, chimica-farmaceutica, ict e tessile; meta’ a rischio geopolitico.

Il 21% delle imprese ha scelto il backshoring delle forniture. Necessario potenziare le filiere.

L’iperglobalizzazione dei primi anni Duemila ha lasciato il posto a una fase di globalizzazione lenta. Tuttavia, la globalizzazione resta profonda e complessa, con dinamiche eterogenee lungo le sue molteplici dimensioni. Le catene globali del valore (GVC) si sono dimostrate molto robuste e persistenti. Le tensioni sino-americane, il conflitto russo-ucraino, la divisione in blocchi dei paesi “like minded” e un’accelerazione degli interventi protezionistici a livello globale complica lo scenario mondiale. Questa l’analisi contenuta nel volume CATENE DI FORNITURA TRA NUOVA GLOBALIZZAZIONE E AUTONOMIA STRATEGICA del Centro Studi, consultabile sul sito di Confindustria e che sarà presentato a settembre. Governare le interdipendenze globali produttive e di conseguenza di fornitura, create negli ultimi trent’anni, si è rivelato, in questo ultimo triennio, più problematico; emerge la necessità di rafforzare le catene di fornitura, specie in produzioni strategiche, come quelle che guidano la transizione green e digitale. Nell’ultimo decennio circa l’8% delle importazioni europee (dai mercati extra-UE), in valore, risulta critico. In particolare, l’Unione europea è vulnerabile soprattutto nelle filiere dell’ICT (Information and Communications Technology) e, in misura minore, dell’agro-alimentare e del tessile. La Cina è sempre più la fonte principale delle vulnerabilità dell’Unione europea e anche degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’economia italiana, le vulnerabilità nelle forniture riguardano il 16% dell’import in valore e il 7% delle varietà di prodotto. Sono percentuali in linea con quelle registrate per la Germania e per la Francia. Le vulnerabilità italiane si concentrano, in valore, nella filiera delle commodity, della chimica e dell’energia. Restringendo l’analisi alle forniture industriali (di input intermedi e beni di investimento), sono stati selezionati 333 prodotti critici, per i quali l’industria italiana risulta stabilmente vulnerabile negli ultimi anni. Essi rappresentano circa il 9% del valore dell’import italiano (circa 17 miliardi di euro). La filiera industriale italiana maggiormente vulnerabile è quella delle commodity, chimica ed energia, seguita dai trasporti; come varietà di prodotti si aggiungono anche il tessile e i metalli. La Cina è di gran lunga il maggiore fornitore di prodotti critici per l’industria: 25% in valore (principalmente ICT) e 22,5% in varietà (soprattutto nel tessile). Quasi la metà delle forniture critiche dell’industria italiana si può definire ad alto rischio geopolitico o climatico. Si tratta soprattutto di minerali e prodotti in metallo; tra le filiere, spiccano quelle dei trasporti, del tessile, dell’agroalimentare e, per quanto riguarda il rischio climatico, anche quella dell’ICT, media e computer. Inoltre, poco meno della metà dei prodotti critici per l’industria italiana si può definire strategica, per oltre 10 miliardi di euro (61% dell’import critico). Si tratta principalmente di minerali, metalli o altre materie prime (coinvolti nella transizione verde) e di prodotti farmaceutici e principi attivi. Intersecando i criteri di selezione per strategicità e per rischio, otteniamo una lista finale di 62 prodotti fortemente critici per l’industria italiana. Nonostante siano relativamente pochi prodotti, attivano circa 5 miliardi di acquisti italiani dall’estero (ben il 38,5% dell’import critico). Riguardano soprattutto le filiere dell’ICT e dei trasporti. Diverse le strategie che possono essere attuate. Il rientro di attività produttive nei paesi dell’Unione europea favorirebbe una reindustrializzazione, che però necessita di risorse umane e soprattutto di competenze specifiche che non sempre sono immediatamente disponibili. Il backshoring di produzione potrebbe comportare anche un aumento dei prezzi, laddove l’innovazione tecnologica non abbia reso più competitiva la produzione in house rispetto all’offshoring; appare quindi auspicabile solo nei settori strategici. I dati raccolti nella survey del Centro Studi Confindustria e Re4It (Reshoring for Italy) sulle strategie di offshoring e reshoring delle imprese manifatturiere nel 2021 confermano un uso limitato delle scelte di backshoring di produzione (totale o parziale). Invece, si rileva un utilizzo del backshoring di fornitura tra le imprese manifatturiere italiane, individuando nella maggiore resilienza, nella riduzione della distanza e nel miglioramento della qualità dei prodotti i principali fattori che influiscono su questa scelta. Circa il 75% del totale dei rispondenti all’indagine CSC&Re4It ha acquistato forniture totalmente o parzialmente da imprese estere e il 21% di queste ha effettuato un backshoring di fornitura negli ultimi cinque anni. La scelta del backshoring di fornitura è del tutto compatibile con l’offshoring di produzione, poiché rilocalizzare la catena di fornitura non comporta necessariamente spostare eventuali attività produttive all’estero. Infine, l’accorciamento delle filiere globali potrebbe accompagnare l’adozione di paradigmi alternativi a quello lineare della produzione, come ad esempio l’economia circolare; ciò risulta più attuabile in un contesto nazionale o europeo, con normative comuni e minori costi di transazione

Leggi il rapporto completo CATENE DI FORNITURA TRA NUOVA GLOBALIZZAZIONE E AUTONOMIA STRATEGICA
https://www.confindustria.it/home/centro-studi/prodotti/ricerche/rapporto/scenari+geoeconomici/rapporto-catene-di-fornitura-2023

e la Nota di approfondimento LE DIPENDENZE CRITICHE E STRATEGICHE DELL’INDUSTRIA ITALIANA
https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/scenari-geoeconomici/dettaglio/dipendenze-critiche-e-strategiche-industria-italiana

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RAPPORTO REGIONALE PMI 2023- CONFINDUSTRIA-CERVED: LE PMI REGGONO AGLI SHOCK, PUR CON SEGNALI DI RALLENTAMENTO. PNRR FONDAMENTALE PER LA RIPRESA

In crescita nel 2022 fatturato e valore aggiunto, pesa l’aumento del costo del debito

Il Rapporto Regionale PMI 2023, realizzato da Confindustria e Cerved in collaborazione con UniCredit, presentato ieri a Milano, approfondisce la struttura e l’evoluzione dello stato di salute delle piccole e medie imprese italiane da una prospettiva territoriale. Il rapporto analizza i conti economici delle circa 160mila PMI italiane, basandosi sui dati di consuntivo del bilancio 2021 e offrendo stime per il 2022, attraverso i modelli predittivi economico-finanziari di Cerved.

I dati mettono in evidenza i diversi impatti sui sistemi di PMI territoriali degli shock sequenziali che negli ultimi anni hanno colpito il nostro sistema economico. Sul fronte dei conti economici si stima una sostanziale tenuta di fatturato (+2,4%), valore aggiunto (+1,4%) e MOL (+2,9%), che recuperano i livelli del 2019 (rispettivamente +9,1%, +8,7% e +14,9%).. Questi indicatori sono accompagnati da evidenze meno incoraggianti, che suggeriscono una possibile inversione di tendenza nel prossimo biennio. I segnali di rallentamento sono più significativi nelle zone del Centro-Sud e lasciano ipotizzare un incremento del divario strutturale tra sistema produttivo settentrionale e meridionale.

I primi effetti dell’inflazione e dell’aumento del costo del debito fanno contrarre la redditività netta e gli utili delle PMI. Nel 2022 si stima infatti un calo del ROE dello 0,6% (dal 12% all’11,4%). La riduzione della redditività è più marcata nel Centro (dall’11,4% del 2021 al 10,4% del 2022) e nel Mezzogiorno (dal 13% del 2021 al 12,2% del 2022), con il Nord-Est e il Nord-Ovest che soffrono di meno (dal 12,5% del 2021 al 12,1% del 2022 per il Nord-Est e dall’11,5% all’11,1% per il Nord-Ovest). In parallelo, la quota di PMI in perdita passa dal 12,2% del 2021 al 27,9% del 2022, con effetti più significativi nel Centro (+16,4%; dal 13,4% al 29,8%).

Il peggioramento della congiuntura genera impatti anche sulle abitudini di pagamento delle PMI: i mancati pagamenti sono attesi in rialzo del 4,3% a livello nazionale (sono il 29,4% delle fatture nel dicembre 2022 contro il 25,1% del dicembre 2021). I valori più elevati si toccano tuttavia nel Mezzogiorno (39,6%; +5,8% su base annuale) e nel Centro (32%; +2,9% sull’anno). Più contenuti i mancati pagamenti nel Nord-Est (22,7%; +3,5%) e nel Nord-Ovest (27,2%, +4,6% sull’anno). Segnali di un’inversione di tendenza si intravedono anche tra gli indicatori di stabilità finanziaria.

Il rapporto monitora, inoltre, l’evoluzione dell’uscita dal mercato delle PMI. Le stime del 2022 confermano la prosecuzione del congelamento delle chiusure che si osserva dal 2019; i fallimenti calano del 34,7% su base annua (661 nel 2022 vs 1013 nel 2021) e le procedure non fallimentari del 49,4% (da 330 nel 2021 a 167 nel 2022). Il calo dei fallimenti è particolarmente marcato nel Mezzogiorno (-45,2%, da 230 a 126) e nel Nord-Ovest (-42,2% da 341 a 197), mentre le procedure non fallimentari si riducono particolarmente nel Nord-Est (-60,2%) e nel Centro (-55,3%).

Il Rapporto viene presentato in un momento complicato per le PMI italiane: il persistere dell’inflazione ben oltre i propri obiettivi di mandato sta spingendo la BCE a un continuo e deciso rialzo dei tassi, che si ripercuote sul costo dei finanziamenti alle imprese e, indirettamente, sul credito richiesto e su quello concesso, così come sugli investimenti. Dopo quasi otto anni di tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali inferiori o pari a 0,25 punti, in un anno (da luglio 2022) si sono raggiunti oggi 4,00 punti. I processi di ristrutturazione aziendale degli ultimi dieci anni, ancorché incompleti e differenziati tra settori e territori, avevano reso più solido il tessuto produttivo italiano. La crisi che ha caratterizzato - ed è seguita - ai periodi di lockdown ha però fatto fare alle imprese un passo indietro di 4 anni nel processo di rafforzamento dei bilanci osservato nei 10 anni pre-pandemia. Questo ha riguardato in particolare le PMI.

A fronte di queste difficoltà, aumentano anche le sfide per il futuro. La duplice transizione, ormai ineludibile, richiede ingenti investimenti a tutti i livelli della filiera, così come competenze adeguate agli obiettivi. Tanto il mercato quanto regole sempre più stringenti impongono anche alle PMI un cambio nei propri processi, che a loro volta richiede più managerializzazione, più formazione e più investimenti.

In questo contesto, per aiutare le imprese a crescere è necessario un disegno di politica economica e industriale coerente e di medio-lungo periodo, che agisca in primis correggendo le criticità strutturali con cui devono fare i conti le PMI e mediante incentivi mirati che risolvano o attutiscano i principali deficit.

Per raggiungere questi obiettivi e superare le criticità che frenano la competitività delle imprese, il PNRR è un’opportunità storica. La prima azione che il PNRR deve sostenere è l’implementazione delle riforme: del lavoro, che includa le politiche attive; del sistema scolastico, del sistema giudiziario e del fisco. Oltre alle riforme, il PNRR gioca un ruolo centrale per la realizzazione degli investimenti a sostegno della competitività, non solo del sistema imprenditoriale, ma di tutto il territorio. Sia riforme che investimenti hanno ora bisogno di una decisa spinta verso l’attuazione. Sul fronte degli investimenti, oltre ai ritardi strutturali, si registra una situazione di incertezza, legata soprattutto al tema delle “rimodulazioni”.

La prima occasione di aggiornamento del Piano è rappresentata da REPowerEu. La priorità dovrebbe essere focalizzata su interventi da attuare con strumenti automatici, che possano, da un lato, sostenere le imprese ad affrontare i costi della trasformazione green e, dall’altro lato, favorire le condizioni di contesto a supporto di questo processo, tra cui gli investimenti nel digitale e sulle competenze necessarie in quest’ottica.

Quanto alla digitalizzazione, è necessaria una revisione e un potenziamento degli strumenti a supporto della trasformazione digitale delle imprese, tenendo conto dei mutati obiettivi in ottica di Industria 5.0 e facendo tesoro dell’esperienza dei piani relativi al 4.0. Inoltre, per le PMI rimane di fondamentale valore il cosiddetto “network dell’innovazione 4.0”, composto da Competence center e Digital Innovation Hub, capaci di affiancare le imprese di minori dimensioni nell’analisi dei loro bisogni e nell’individuazione e applicazione delle tecnologie digitali più adatte.

Un’altra linea di azione attiene agli ambiti della ricerca e dell’innovazione. Le PMI affrontano sfide significative quando si tratta di sostenere i costi delle attività di ricerca e sviluppo. D’altro canto, grazie alla loro struttura flessibile, sono in grado di assorbire più facilmente le innovazioni di processo e di prodotto, anche se queste sono state sviluppate altrove. In tal senso, è particolarmente apprezzabile il “credito d’imposta per investimenti in ricerca e sviluppo”, incentivo nazionale che prevede una maggiorazione per le imprese localizzate al Sud.  

Sotto il profilo finanziario, il rialzo dei tassi di interesse sta oggi determinando una riduzione della domanda di prestiti da parte delle imprese e condizioni di accesso al credito decisamente più restrittive. Questo crea una serie tensioni finanziarie sulle imprese, che hanno contratto finanziamenti a tasso variabile e si sono indebitate per far fronte alla crisi degli ultimi tre anni. In tale contesto, è necessario intervenire per assicurare la sostenibilità del debito in essere delle imprese, favorendo operazioni di rinegoziazione e allungamento dei finanziamenti, incluse moratorie. A tal fine, sono tuttavia necessarie modifiche alle regole bancarie europee (in particolare della definizione di default), che scoraggiano tali operazioni. Occorre poi rivedere le regole temporanee europee sugli aiuti per consentire un allungamento della durata dei finanziamenti garantiti dallo Stato, sia in essere sia nuovi.

Vanno poi rafforzate le garanzie pubbliche. In particolare, per quanto riguarda il Fondo di Garanzia per le PMI, occorre intervenire per prevedere la gratuità di accesso per tutte le operazioni finanziarie, elevare le coperture di garanzia e innalzare l’importo massimo garantito. Le condizioni del credito in peggioramento rafforzano la necessità per le PMI di ricorrere maggiormente a strumenti di finanza alternativa, aprendo il proprio capitale a investitori esterni. Per questo, serve un set integrato di misure, in grado di raggiungere le diverse tipologie e classi dimensionali di imprese e di attivare sempre più il risparmio privato. Per farlo, è necessario che le imprese sviluppino maggiori capacità di comunicare al mercato e una governance adeguata, cui è possibile tendere, anche in questo caso, rafforzando il proprio livello di managerializzazione.

Infine, la revisione del sistema nazionale degli incentivi, avviata dal Governo, è condivisibile nella sua ratio di fondo: reimpostare il sistema utilizzando pochi strumenti e semplici, facendo leva quegli schemi agevolativi che, nella pratica, hanno già dimostrato di funzionare in maniera efficace (es. Fondo di Garanzia per le PMI, Nuova Sabatini, FRI), adattandoli, anche con il supporto delle Regioni, alle diverse e specifiche strategie ed esigenze.

Qui il commento del Presidente di Confindustria Abruzzo Silvano Pagliuca sui dati regionali: https://confindustriachpe.it/organizzazione-notizie/117-organizzazione/15555-comunicato-stampa-confindustria-abruzzo-silvano-pagliuca-sul-rapporto-pmi-2023 

Allegati: sintesi del rapporto e focus su regione Abruzzo.

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In aumento i segnali di indebolimento dell’economia italiana, soprattutto nell’industria. La crescita è più fragile, con il lento calo dell’inflazione e il credito più caro. I servizi sono meno dinamici, le costruzioni reggono, ma l’industria perde terreno. Nei consumi delle famiglie italiane ci sono meno beni, in particolare alimentari, e più servizi. Gli investimenti sono deboli e la domanda estera è in calo per i beni. Segnali di rallentamento nell’Eurozona, negli USA un brusco stop dell’industria, mentre la ripartenza in Cina è sotto le attese.


Alleghiamo il link all'ultima Congiuntura Flash: https://www.confindustria.it/home/centro-studi/temi-di-ricerca/congiuntura-e-previsioni/dettaglio/congiuntura-flash-giugno-2023

Fonte: Centro Studi Confindustria

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